La circolazione dei beni di provenienza donativa: ragioni giuridiche di un annoso problema

Un aspetto problematico da considerare in ambito di pianificazione successoria è quello legato alla mancata fluidità dei rapporti giuridici aventi ad oggetto i beni di provenienza donativa, che proprio le regole del Codice civile, in questa sede analizzate senza pretese di completezza o esaustività, rendono tali.

Sul presupposto che la donazione rappresenti un’anticipazione in conto della futura successione, ben può accadere che il donante, con una o più attribuzioni effettuate in vita, possa ledere le aspettative dei c.d. legittimari (il coniuge o la persona unita civilmente, i discendenti, ed in mancanza di questi ultimi gli ascendenti), i quali hanno diritto a conseguire una quota ideale (quota di riserva) sull’interno patrimonio del defunto, che proprio a seguito di quelle attribuzioni potrebbe risultare poi lesa.

Una premessa è d’obbligo: la ratio su cui si basa l’impianto normativo sulla successione necessaria tende a garantire i diritti patrimoniali dei familiari più stretti del defunto, assicurando a questi una parte – intangibile – del patrimonio ereditario. Tale quota, di fatto, finisce per limitare l’autonomia di ogni individuo il quale, nella qualità di donante o di testatore, deve (o quanto meno dovrebbe) tenere conto dell’utile minimo che ciascun legittimario ha diritto di conseguire a seguito dell’apertura della successione.

Tale ratio giuridica è presidiata da importanti forme di tutela che l’ordinamento riconosce in favore del legittimario, al quale è attribuito il diritto di esercitare dapprima l’azione di riduzione, per dichiarare inefficaci nei suoi confronti le donazioni (o le disposizioni testamentarie lesive) e, successivamente, l’azione di
restituzione, quest’ultima esercitabile sia contro il beneficiario di tali disposizioni sia, qualora questi risulti insolvente, contro i terzi che nel mentre abbiano acquistato dal beneficiario – a qualunque titolo – i beni oggetto di donazione.

Inevitabilmente, quindi, tale circostanza ha un impatto diretto sulla circolazione dei beni e quindi sulla stabilità dei traffici giuridici. Difatti, nell’ipotesi in cui il donatario abbia alienato a terzi un bene (si ipotizzi un immobile) ricevuto per donazione e che all’apertura della successione del donante tale attribuzione – che
resta comunque un atto valido – si riveli lesiva della quota riservata ad un legittimario, questi potrà agire, previa escussione dei beni del donatario, per la restituzione del bene che il terzo ha acquistato. Gli operatori del settore bancario conoscono bene, infatti, la riluttanza degli istituti di credito nell’erogare finanziamenti a fronte di acquisti di immobili di provenienza donativa, dettata proprio da queste ragioni.

Un ulteriore e delicato aspetto va evidenziato. Sappiamo che per determinare l’ammontare del patrimonio ereditario e quindi per calcolare la quota di patrimonio riservata ai legittimari, occorre operare la c.d. “riunione fittizia” ovvero la somma di tutti i diritti e rapporti di cui il de cuius era titolare al momento della
morte, sottratte le passività a quella data esistenti e sommando altresì il valore di tutti i beni di cui il defunto ha disposto a titolo di liberalità secondo la ben nota formula “patrimonio ereditario = relictum – debiti + donatum”.

Tuttavia, e qui si palesa forse il più insidioso dei rischi, il valore dei beni oggetto di donazione è determinato al tempo della apertura della successione e non già tenendo conto di quello al momento della donazione, secondo le regole dalla collazione dei beni immobili (art. 747 c.c.) e dei beni mobili (art. 750 c.c.). A titolo esemplificativo, si ipotizzi che oggetto della donazione sia stato un immobile sito in una zona urbana che, nell’intervallo di tempo tra la donazione e la apertura della successione del donante, sia stata oggetto di importanti riqualificazioni tali da far anche raddoppiare il valore del bene: sarà quest’ultimo a dover essere
considerato per calcolare il valore della donazione, quantificare l’ammontare del patrimonio ereditario e stabilire se l’attribuzione liberale del defunto abbia determinato una lesione dei diritti dei legittimari.

È intuibile come il rischio legato alla criticità appena evidenziata sia destinato ad aumentare proporzionalmente alla volatilità del valore dei beni oggetto di donazione, volendo con ciò fare riferimento a categorie di beni come gli oggetti da collezione (auto d’epoca, orologi, opere d’arte, etc.), il cui valore, per
le loro intrinseche caratteristiche, può superare in maniera del tutto imprevedibile – e con scenari altrettanto imprevedibili – quello che avevano al momento in cui la donazione è stata eseguita.

Resta fermo tuttavia che, una volta delineato il perimetro dei contrapposti interessi, dei legittimari da un lato, e dei terzi acquirenti di beni di provenienza donativa dall’altro, ricorrere allo strumento della donazione, nella pianificazione del proprio patrimonio, sia una circostanza che impone la necessità di vagliare con
cautela tutti i possibili futuri scenari., atteso che, con particolare riferimento ai diritti immobiliari, il legislatore ha previsto, all’articolo 563, co.1, c.c., un termine ventennale, decorrente dalla trascrizione della donazione per l’esercizio dell’azione di restituzione contro gli aventi causa del donatario, termine, per di più,
suscettibile di essere sospeso, ex art. 563, co.4, c.c., «nei confronti del coniuge e dei parenti in linea retta del donante che abbiano notificato e trascritto, nei confronti del donatario e dei suoi aventi causa, un atto stragiudiziale di opposizione alla donazione».

In relazione a questo ultimo aspetto un contemperamento del rischio si è recentemente ottenuto quando il mercato ha elaborato un prodotto assicurativo che alcuni istituti di credito ammettono per risolvere, col criterio del ristoro economico – in favore del dell’avente causa del donatario o del creditore ipotecario – le
problematiche connesse all’acquisto del bene di provenienza donativa.

Un cenno conclusivo merita di essere fatto ad uno strumento specifico che il nostro Legislatore ha previsto al fine di garantire una maggiore stabilità a beni che interessano il tessuto economico e produttivo del Paese, il ben noto patto di famiglia, grazie al quale il trasferimento di aziende e di partecipazioni sociali (secondo le
disposizioni di cui agli articoli 768-bis e seguenti, c.c.) non è soggetto a collazione o riduzione. Attraverso questo contratto le sorti di tali trasferimenti vengono, per espressa previsione legislativa, sottratte agli esiti delle vicende successorie dei titolari e dei loro familiari, per cui la futura cessione dell’azienda o delle
partecipazioni sociali ricevute attraverso il patto di famiglia può essere effettuata con maggiore serenità da parte del terzo acquirente.

I rimedi ai problemi sopra evidenziati, attentamente analizzati dalla dottrina e dalla prassi notarile, che per la loro profondità meriterebbero un separato contributo, inevitabilmente si scontrano contro la granitica posizione dei diritti dei legittimari ed il più generale divieto di patti successori.

Resta da chiedersi, tuttavia, se nell’attuale contesto economico proprio questo ultimo divieto rappresenti ancora una necessità concreta o piuttosto un serio impedimento ai normali traffici giuridici e se i tempi siano oramai maturi per una revisione della disciplina successoria (già avvenuta, ma con risultati poco sensibili, con la Legge n. 80/2005) che consenta la previsione dei patti successori, quantomeno quelli c.d. rinunciativi, al fine di ovviare alle difficoltà evidenziate e, soprattutto, di adattarsi agli attuali mutamenti.

 

Autore: Luigi A.M. Rossi, Avvocato, Dottore Commercialista

Tratto da: https://ancp.eu/2021/02/05/la-circolazione-dei-beni-di-provenienza-donativa-ragioni-giuridiche-di-un-annoso-problema/

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